Lettera agli amici - numero 15 - Sulla visibilità della chiesa

834bed2fa8185abbe76bfbc81d09b7b4.jpg

Pentecoste 1984

La lettera della Pentecoste 1984 critica le tendenze presenti nella chiesa cattolica italiana a dar voce a nostalgie per il modello costantiniano, che si sostanzia in un rifiuto del modello evangelico a favore di “una saldatura tra società politico-civile e chiesa istituzionale […] al tentativo di costituzione di una nuova forma di cristianità”. La lettera cita, tentando di non polemizzare, il discorso di Giovanni Paolo II ai giovani di Comunione e Liberazione del 13 maggio 1984, in cui il papa difendeva il progetto di cercare per la chiesa “per mezzo di questa nostra visibilità lo spazio dovuto” all’interno di una società pluralista.

È un anno importante per i rapporti tra chiesa e stato. Il 18 febbraio 1984 il “nuovo Concordato” (versione aggiornata di quello del 1929 col regime fascista) viene firmato dall’allora Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, e dal Segretario di Stato Vaticano, cardinale Agostino Casaroli. È anche l’anno in cui la Santa Sede instaura pieni rapporti diplomatici con gli Stati Uniti del presidente Ronald Reagan, anche in funzione di una collaborazione nella lotta al comunismo sul piano internazionale. Nell’ottobre 1983 il premio Nobel per la pace era stato assegnato al leader del movimento polacco “Solidarnosc”, Lech Walesa, e Giovanni Paolo II nel giugno 1983 aveva visitato la Polonia per una seconda volta dopo il viaggio del 1979.

Una strategia di riconquista dello spazio pubblico si avverte non solo nei rapporti bilaterali della Santa Sede con gli Stati, ma anche all’interno della chiesa. Nel 1984 si ha il primo degli eventi che preparano il terreno all’istituzione delle “Giornate mondiali della gioventù” convocate dal papato a partire dal 1985: il Giubileo dei giovani dell’aprile 1984, a conclusione dell’“Anno Santo” 1983-1984, quando su invito di Giovanni Paolo II arrivarono a Roma da tutto il
mondo migliaia di giovani.

Ma lo spazio ecclesiale continua ad essere conteso tra interpretazioni diverse del ruolo della chiesa nella società alla luce del Vaticano II, ed è un fatto di cui anche la chiesa istituzionale è consapevole. Alla fine della sessione del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana del febbraio 1984, nel comunicato si leggeva: “il Consiglio ha raccomandato di promuovere un Convegno che sia anche ‘itinerario’ delle comunità cristiane verso una sempre più piena riconciliazione ecclesiale e chiara proposta di valori di riconciliazione e di solidarietà in questa nostra società non riconciliata.”


Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,

ancora una volta alla vigilia della Pentecoste vogliamo con il qiqajon e con questa lettera mantenere viva la nostra vicinanza a voi tutti e condividere con voi alcuni pensieri poveri e umili che abitano il nostro cuore insieme alla Parola di Dio ogni giorno accolta e conservata, ruminata e pregata nella nostra vita monastica.

Con il qiqàjon, l'alberello fatto crescere da Dio per concedere ristoro e riposo al suo profeta stanco, noi non vogliamo provocare ferite e tantomeno scandalizzare.

Tuttavia, l'urgenza e lo zelo ci spingono alla franchezza, a quella parresia che è assolutamente necessaria alla vita ecclesiale e che deve sempre essere accompagnata dall'evangelica virtù della macrotymìa, del sentire in grande.

Questo inverno della Chiesa è lungo, molto lungo e allora più che mai dobbiamo armarci della speranza, richiederla a Dio perché risulta vero per molti cristiani che oggi si fa più fatica che in altri momenti a sperare. Oggi infatti, occorre non lasciarsi vincere dal nuovo clima ecclesiale dominante a costo di fare una resistenza interiore in nome della sovranità della Parola di Dio sulla Chiesa e del radicalismo evangelico che fonda la nostra sequela del Signore Crocifisso e Risorto. La vita del Cristo risorto e salito al Padre è ormai nascosta in Dio (Col. 3.3) e resta nascosto anche il nostro straordinario "essere cristiani", battezzati, uomini e donne nel mondo ma non del mondo, pellegrini verso il Regno, sostenuti dalla Parola e" dal Pane eucaristici.

Eravamo in molti negli anni del Concilio e del dopo Concilio a credere finita l'ambigua Cristianità costantiniana e a rallegrasi della nuova stagione che pareva aprirsi per la Chiesa, ma oggi ci par di constatare che una nuova forma di costantinianismo si vada instaurando e che questa forma recluti ogni giorno agenti efficaci e sicuri, che in nome della fede e come agenti della Chiesa presumono di poter guadagnare il mondo instaurando una cultura cristiana, dando origine ad una nuova società cristiana. Si vuole così che la Chiesa diventi nuovamente "domina" nella storia umana e questo proprio al fine di aiutare l'uomo, promuovere l'uomo, assicurare all'uomo la libertà e la giustizia.

Chi ancora osa credere che il cristiano è nel mondo con una fede non sottratta alla comune vicenda umana, ma nel mondo testimone di un Regno che non è di questo mondo, testimone capace di lottare contro le potenze che reggono il mondo attraverso la sua umile preghiera, la sua vita sacramentale, la sua quotidiana sequela del Cristo quale peccatore sempre perdonato, è ormai considerato un autoemarginato dalla vicenda sociale e culturale, un subalterno all'ideologia laicista dominante, un sofferente di un complesso di inferiorità rispetto al mondo, un marginale rispetto al grande corpo della Chiesa. O la Chiesa è "forza sociale”; si dice m'mai da più parti, o non è Chiesa. Questo discorso accompagnato da un rifiuto di ogni atteggiamento radicalmente evangelico, nell'attuale congiuntura che vede una saldatura tra società politico-civile e chiesa istituzionale. Può solo portare al tentativo di costituzione di una nuova forma di cristianità. Noi abbiamo sempre condannato ogni "fuga ecclesiale" e abbiamo sempre voluto che soprattutto la vita religiosa fosse una componente della vita ecclesiale accanto ad altri ministeri e nel cuore del popolo c'ristiano e abbiamo osato rimproverare quei monaci che si rifugiavano nel deserto rischiando la formazione di una Chiesa parallela e separata. Eppure oggi, vivendo questa situazione ecclesiale, noi comprendiamo tutta la forza della loro tentazione.

C'è una visibilità della chiesa che non può essere perduta perché essa è luce del mondo (Mt 5.14), è città posta sulla montagna perché tutti la vedano; c'è una efficacia della Chiesa che dev'essere assolutamente garantita perché la Chiesa "è sale della terra'; è lievito nella pasta, ma c'è anche un nascondimento della Chiesa agli occhi del mondo che va accettato perché la Chiesa non è il Regno, perché la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3.3). C'è poi una visibilità della Chiesa che contraddice la sua vocazione di essere alla sequela di chi, per paura del trionfalismo o della sua strumentalizzazione "se ne stava in disparte in luoghi deserti" (Mc 1.45), di chi sapeva dire alle folle: "Se voi non vedete segni e prodigi non credete" (Cv 4.48), di chi "sapendo che volevano farlo Re, si ritirò di nuovo sulla montagna tutto solo ... " (Cv 6.15).

La Chiesa nel mondo ma non del mondo non può essere "domina” ; non può vivere trionfalisticamente quale "potenza" che concorda col mondo i confini della sua libertà o che si fà garante dei diritti dell'uomo e della sua promozione, non può impoverire le energie della fede misurando la fede soltanto sulla sua forza di diventare cultura.

Quando si arriva a proclamare "una fede, una cultura, una chiesa!" o perlomeno si arriva a impegnare la fede nello sforzo prioritario di diveniTe cultura, allora si riduce la fede stessa a ben poca cosa ... Una Chiesa così può dire ancora di attendere il Regno, di sentirsi pellegrina sulla terra?

Proprio per questo, con molto rispetto, vogliamo dire che ci hanno rattristato le parole di Giovanni Paolo II che il 13 maggio rivolgendosi ad un movimento concludeva il discorso dicendo: "noi come Chiesa, come cristiani, come ciellini dobbiamo essere visibili nella società. Accettiamo il fatto che la società è pluralistica, che ci sono tanti che pensano diversamente, che hanno un'altra visione del mondo, della vita umana, che hanno un'altra filosofia. Ma se lo sono questi altri perché non possiamo essere anche noi visibili e cercare per mezzo di. questa nostra visibilità lo spazio dovuto?".

È bene che il papa di tutta la Chiesa si unisca ad una visione così particolare del vivere il cristianesimo? È bene richiedere lo spazio che richiede il mondo? Diciamo questo con rispetto, con umiltà, senza rivendicazioni, e senza il detestabile spirito di contestazione.

La visibilità della Chiesa è emersa nei santi con la vita nascosta, è emersa in quei santi poveri ed oppressi che erano tanto più liberi quanto più erano umiliati, è emersa nei martiri cui è stato tolto ogni spazio di visibilità. La gloria, il trionfo, l'onore appartengono al Cristo Signore e la Chiesa non può guardare alla prosperità, alla libertà come segno di una gloria che non può essere sua ...

Cari amici la Pentecoste è vicina, lo Spirito ancora scenderà sulla Chiesa e ci dar'à forza per sperare ancora. Preghiamo tutti insieme perché non si apro la strada ad una condizione di credenti senza chiesa, perché non si arrivi a sentire la chiesa ormai di altri, la chiesa non più la casa di tutti. Nella preghiera saremo già esauditi!

i fratelli e le sorelle di Bose

3 giugno 1984
memoria di Giovanni XXIII, papa



Lettera agli amici - numero 15 - Sulla visibilità della chiesa

Tags: cura della memoria