Digiuno: perché e come?

Foto di John Doyle su Unsplash
Foto di John Doyle su Unsplash

16 febbraio 2024

Lc 5,33-35

In quel tempo 33dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». 34Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? 35Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno»


Il digiunare fa parte della esperienza umana e religiosa, variamente motivato, al tempo di Gesù praticato dai discepoli di Giovanni e dei farisei: “i tuoi invece mangiano e bevono”. I farisei e i loro scribi chiedono il perché. Non è in gioco il digiuno in sé, Gesù lo riconosce (cf. Lc 5,35), ma la modalità del suo porsi: “Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?”. 

L’evangelista distingue il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa. Il Gesù terreno è venuto a proclamare l’anno di grazia del Signore (cf. Lc 4,19), tempo di buone notizie ai poveri, di liberazione agli oppressi (cf. Lc 4,12-13), di gioia ai perduti (cf. Lc 15); tempo nuziale in cui lo sposo messianico suona il flauto agli invitati a nozze (cf. Lc 7,32), i compagni dello sposo. Impossibile imporre il digiuno, la presenza di Gesù è gioia e convivialità. La sua assenza, il suo essere tolto ai loro occhi, aprirà il tempo della Chiesa con i suoi digiuni: “Verranno giorni in cui digiuneranno” (Lc 5,35), in cui si chiarificheranno le ragioni di una pratica che rimanda ad altro. 

Quella distanza dal pane e dall’acqua, quella fame e sete evocano altro, intendono risvegliare la coscienza a un’altra fame e a un altro pasto: il desiderio del faccia a faccia con l’amico del cuore, il Cristo, dalla fede alla visione, il desiderio di una convivialità con lui eterna. Il digiuno è a ricordare questa sete di lui e della sua compagnia nella comunione dei santi che diventa preghiera: “Vieni!” (Ap 22,17). Ma davvero lo attendiamo? 

Il digiuno poi diventa evocazione della fame e della sete della parola: “L’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,2-3; Mt 4,1-4). L’uomo è fame biologica e al contempo sete di ragioni che aprano la vita al senso, ragioni a cui viene incontro la Parola all’uomo fonte di resurrezione a una lettura sublime di sé: figlio amato dal Padre, fratello inviato ad amare, figlio della resurrezione. 

Il digiuno rimanda a questa sete di conoscenza, ricorda che è bene qualche volta non imbandire la tavola di cibi ma porre al centro di essa la Scrittura che mangiata rende liberi per un esserci filiale, fraterno, erede. L’assente si fa presente come illuminazione in una pagina. 

E ancora il digiuno è stato compreso come messaggero dell’astinenza dalla ingiustizia: “Questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi…dividere il pane con l’affamato introdurre in casa i miseri…” (Is 58,5-7). “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). Digiuno a memoria di una fame e sete da coltivare, il prendersi cura del bisogno dell’altro, la sua carenza è diritto che interpella il mio dovere. 

Il pane come il Padre è ‘nostro’, è di tutti, e il digiuno ci introduce a leggerlo come dono di cui ringraziare, da usare con sobrietà, da condividere. Il retto uso dei beni. Stupito di come un piccolo gesto sia portatore di messaggi alti, l’uomo impara a digiunare dall’assenza di desiderio del volto dell’amico e del suo mondo, il Regno dei cieli, da orecchi sordi all’ascolto della sua parola, da occhi incapaci di vedere il dolore del povero mondo, da una mente ottusa nella valutazione dei beni. Digiuno non come opera da vantare come merito, ma come messaggero inviato ad arrecare buone notizie.

fratel Giancarlo


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