Pregare per non smettere di sperare un mondo diverso

Foto di Frank Luca su Unsplash
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26 febbraio 2024

Mt 6,7-15

In quel tempo Gesù disse:" 7Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
9Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
10venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.

14Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; 15ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.


Nella tradizione cristiana il Padre nostro - che il nostro brano oggi ci propone - è noto con il titolo di “Preghiera del Signore” (Oratio dominica), e questo va inteso in senso forte. Il Padre nostroè la preghiera che prima di tutto il Signore ha fatto propria e che riassume in qualche modo (traducendola in forma di preghiera) l’essenza del suo insegnamento e della sua vita come emergono dai vangeli. In questo senso giustamente Tertulliano, autore del primo commento antico al Padre nostro, lo chiamava breviarium totius evangelii, “compendio dell’intero vangelo”. 

Come è noto, il Padre nostro ci è giunto in due versioni diverse, in Matteo e Luca: la libertà che i due evangelisti si sono presi nel riportarla dimostra che questa preghiera non è stata insegnata né accolta né trasmessa dalla chiesa come una semplice formula da ripetere in modo letterale, ma anzitutto come un’indicazione e un modello per la preghiera cristiana. Il Padre nostro non è una preghiera come le altre. È la matrice, il grembo in cui può nascere (e rinascere) ogni nostra preghiera, perché non sia parola vana e “blaterata” come quella di chi pensa di venir ascoltato “a forza di parole”.

All’inizio ritroviamo l’invocazione cara a Gesù: “Padre”, ovvero nella sua lingua: Abba. In bocca a lui questo nome così familiare ha un tono particolarissimo,indica la sua consapevolezza filiale profonda, che emerge anche nel cosiddetto “inno di giubilo” (l’altra preghiera di Gesù riportata dai vangeli di Luca e Matteo): “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto mi è stato dato dal Padre mio, e nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,25-27).

Dando ai suoi discepoli la facoltà di rivolgersi a Dio come “Abba”, Gesù alza per loro il velo e li coinvolge nello stesso rapporto filiale da lui vissuto. Il discepolo può pregare come figlio in unione a Gesù, il Figlio (cf. Rm 8,15; Gal 4,6). Questo è molto importante per la nostra vita spirituale: dovremmo poter essere sempre consapevoli che stiamo davanti a Dio insieme a Gesù, e che lui (con il suo Spirito) partecipa alla nostra preghiera. La nostra preghiera si inserisce nella sua preghiera al Padre, e proprio questo significa “chiederenel suo nome”, come si dice nel Quarto vangelo: “Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, la farò” (Gv 14,13).

Soffermiamoci ancora solo sul senso che le prime tre domande del Padre nostro (collegate fra loro) potevano avere per Gesù e possono ancora avere anche per noi. Esse chiedono a Dio di manifestare pienamente la sua santità (che Gesù intendeva essenzialmente come amore misericordioso), chiedono di far venire il suo Regno e di realizzare la sua volontà tra gli uomini. In queste tre domande c’è tutta la vocazione di Gesù, come inviato del Padre e annunciatore del regno di Dio. In tutta la sua vita Gesù non ha desiderato altro se non che in lui si manifestasse pienamente quel Dio che chiamava Abba e che si realizzasse la sua volontà d’amore per gli uomini: un Dio il cui nome è benedizione per i buoni e per i malvagi, come il sole che brilla e la pioggia che scende su tutti (cf. Mt 5,45). 

La tensione verso il regno di Dio – il sogno di un mondo diverso in cui terra e cielo sono uniti e riconciliati, e in cui Dio dimorerà con gli uomini asciugando ogni lacrima dai loro occhi (cf. Ap 21,3-4) – è ciò che, qui ed ora, deve mantenere il discepolo in una attitudine di vigilanza e di sana inquietudine, di non-soddisfazione, di attesa. 

Perché la nostra vita umana vissuta nella fede è costitutivamente e radicalmente una vita “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3), una vita non ancora pienamente manifesta nel suo vero essere, una vita che per questo attende il ritorno del Signore e procede verso una pienezza sperata ma ancora ignorata, il suo Regno. 

Come dice la Prima lettera di Giovanni: “Fin d’ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è ancora stato manifestato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Allora anche noi “saremo manifestati con lui nella gloria” (Col 3,4).

Preghiamo anche per questo: per non lasciarci né sopraffare né anestetizzare dal mondo che ci circonda, e per tenere vivo in noi il desiderio di un mondo diverso.

fratel Luigi


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