“Chi non è contro di noi è per noi”

Foto di Gabriel Jimenez su Unsplash
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9 marzo 2024

Mc 9,38-50

In quel tempo 38Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». 39Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: 40chi non è contro di noi è per noi. 41Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. 42Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. 43Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. [ 4445E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. [ 4647E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, 48doveil loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 49Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. 50Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri»


La comunità del Signore, che nei versetti precedenti aveva discusso su chi fosse il più grande (9,34), sembra trovare coesione solo prendendo di mira un tale che scaccia demoni nel nome di Gesù “senza seguire noi” (9,38). 

Lo scandalo per i discepoli è chi fa del bene stando fuori dalla loro cerchia, fuori dai confini di una presunta loro legittimità. E così invece di essere portatori di Cristo agli altri, i Dodici lo imprigionano per voler essere gli unici mediatori del suo messaggio. È una tentazione ben presente anche ai nostri giorni: costruire barriere dietro le quali vedere una realtà in bianco e nero, fatta di ragioni e torti, giusti e dannati; ponendosi naturalmente sempre dalla parte dei giusti. 

E allora Gesù con infinita pazienza si rimette a istruire i suoi discepoli, e con essi, come sempre, anche noi che non siamo diversi da loro: «Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome, e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi» (9,40). 

Gesù con queste parole abbatte le barriere e spalanca le porte del gruppo dei discepoli. Non dobbiamo scandalizzarci del fatto che si possa essere marginali rispetto ai discepoli, eppure vicini a Gesù. E poi, di fronte alla logica del dentro o fuori, verrebbe ogni tanto da chiedersi: ma è poi vero che queste frontiere sono così chiare? È proprio così facile determinare chi è dentro e chi è fuori? Il vangelo infatti più volte ci dice che il giudizio spetta a Dio. Ci ricorda che il regno dei cieli è un campo in cui crescono insieme grano e zizzania (cf. Mt 13,30), è una sala in cui entrano persone cattive e buone (cf. Mt 22,10), è una rete che raccoglie ogni sorta di pesci (cf. Mt 13,47). 

Ma la dinamica dentro / fuori nasconde sempre una crisi di identità un desiderio di sicurezza, che è sintomo di un vuoto interiore. Per questo il relativismo circa i confini della comunità diventa radicalismo circa l’interiorità del credente. Le parole infatti sullo scandalo - «Se la tua mano ti è motivo di scandalo tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con due mani andare nella Geènna» (9,43) - servono solo a ricordarci con chiarezza che le esigenze radicali dell'evangelo riguardano anzitutto la vita personale di ciascuno. Le nostre azioni (mano), la nostra condotta (piede) e soprattutto il nostro occhio (conoscenza) devono corrispondere alla logica di amore e dono dell’evangelo.

Questa autenticità interiore, che è il vero antidoto ad ogni settarismo, è forse anche ciò che dà sapore alla vita del credente. L’invito di Gesù: “Abbiate sale in voi stessi” (9,50) metaforicamente è l’invito a credere che la lotta interiore per ammorbidire il cuore e renderlo docile all’ascolto e all’obbedienza della parola, è quella cosa che non si vede – come il sale nel cibo – ma che è essenziale al sapore di ogni cosa, al sapore della vita. 

fratel Raffaele


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