O funeral do Metropolita Emilianos de Silyvria
Eghion, 23 Fevereiro 2008
De regresso a Atenas na companhia do bispo Athenagoras e do Pe. Vassilios di Eghion, amigos fiéis, na estrada ao longo do mar - com Corinto, Megara e Salamina no horizonte – é viva a sensação de uma presença (a de Emilianos) que permanece, que não nos abandona: “Meu Deus, chamaste-me, como posso deixar-te?”(O. Elytis).
E a luz das véperas envolve suavemente todas as coisas, luz da memória e do amor.
“TI RINGRAZIO MIO DIO DI AVERMI DATO UN’ALBA
DOPO OGNI TRAMONTO” (O. Elytis)
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Il mattino di sabato 23 febbraio 2008, nella cattedrale “Faneromènis” di Eghion, in Grecia, si sono svolti i funerali del metropolita Emilianos di Silyvria: un autentico evento spirituale cui la nostra comunità ha partecipato con una presenza fraterna. Il suo corpo era rivestito dei paramenti liturgici episcopali, l’evangeliario sul petto e al dito la lampada donatagli dai minatori belgi con cui aveva vissuto in piena solidarietà durante il suo ministero pastorale in quella terra (1952-1959) e che avevano acceso in lui, nella diversità delle loro confessioni e dei loro orientamenti, la fiamma della passione ecumenica. Ora con quella lampada sembrava precederci, essere andato avanti per illuminare la strada oltre la soglia della morte. Era deposto al centro del transetto, sotto la grande cupola, su una piattaforma leggermente rialzata, che permetteva ai moltissimi intervenuti (madri con i loro bambini, giovani, anziani, molti poveri, uomini le cui mani nodose non nascondevano la fatica annosa del lavoro…) di andarlo a salutare, di vederlo, di baciarlo, di toccarlo, di segnarsi col segno della croce, di inginocchiarsi, di inchinarsi, di piangere. Tutte persone - si coglieva – che il metropolita aveva conosciuto personalmente, con quella sua capacità di incontro immediato, di una parola sapida, di una intuizione di vita: le aveva conosciute ed amate, ed ora semplicemente era da loro amato e riconosciuto. Stupiva il suo volto, di una bellezza umanissima e trasfigurata, volto di pace, che manteneva tutta l’intelligenza dello sguardo, con un lieve sorriso accennato. Volto di un “kalògheros” secondo la tradizione orientale, cioè di un uomo divenuto bello per virtù dei tanti volti amati, per grazia della sua storia che ne ha lavorato i tratti con oro fino, luminoso. Volto che riconcilia con la morte, non solo nemica e ostacolo, ma anche sintesi, sigillo, consacrazione di una vita.
La liturgia funebre era presieduta dal metropolita emerito del Pireo Kallìnikos, ottantuno anni, uno dei padri spirituali più amati e autorevoli di Grecia; accanto a lui il metropolita di Corinto Dionysios, delegato dal Patriarca ecumenico Bartholomeos a portare il suo messaggio fraterno e il ringraziamento del Trono Ecumenico; il metropolita di Francia del patriarcato ecumenico Emmanuìl, venuto da Parigi, ordinato diacono e presbitero dal metropolita Emilianos; il vescovo di Sinope Athenagoras, ausiliare del Belgio da dove era arrivato in piena notte, successore del metropolita Emilianos nell’organizzazione degli incontri internazionali di religiosi e religiose; il giovane metropolita di Patrasso Chrysostomos; il metropolita greco-ortodosso di Atlanta (Stati Uniti) Alexios che aveva attraversato l’oceano per essere presente; e infine il metropolita di Eghion Amvrosios, visibilmente commosso, ospite e figlio spirituale del metropolita Emilianos.
Liturgia sobria, densa, solenne, che mostrava efficacemente la sua forza di azione-evento nel susseguirsi ordinato di letture e canti, e nell’accordarsi di movimenti e gesti efficaci. “Bellezza e sofferenza, tutte e due insieme” (O. Elytis). C’è un grande senso liturgico che traspare con semplicità e che non è estraneo alla vita, ma fa parte di una maniera di essere, di vivere, di sentire, di relazionarsi con persone e cose, di sottrarle alla banalità e di dar loro peso e spessore. Talora sembra di toccare con mano quanto reale possa essere la “magia” del gesto.
Molto belle le brevi parole di commiato dei metropoliti presenti, in ricordo del metropolita Emilianos. “Modello per tutti noi di vita cristiana vissuta, ci ha fatto capire che la Chiesa non può chiudersi in se stessa (metropolita Amvrosios). “Rendo testimonianza, per antica e diretta conoscenza, della sua passione per l’annuncio dell’evangelo oggi, della sua vicinanza alle storie concrete degli uomini, della purezza e intensità del suo rapporto con Cristo” (metropolita Kallìnikos). Il metropolita Amvrosios dopo aver presentato ai fedeli i vescovi, ha sottolineato la presenza della comunità di Bose, con accenti di gratitudine e di fraterna amicizia.
Accanto ai vescovi, c’erano i presbiteri della diocesi e molti monaci, tra cui l’Igumeno Efrèm del monastero profeta Elia di Preveza, l’Igumeno Dionysios del monastero Petras di Karditsa, madre Diodora e madre Emilianì di Karditsa, le monache di Tebe…tutti monasteri in cui il metropolita Emilianos ha sostato, ha insegnato, ha celebrato e confessato, sostenendo e incoraggiando tutti. E poi molti laici, in un tributo popolare grande e commosso, e tra loro il personale del centro “Aghios Karàlampos” che amorevolmente ha custodito Emilianos fino alla morte, con ogni cura.
Alla fine della liturgia, il corpo del metropolita Emilianos è stato portato in processione per un buon tratto, preceduto, seguito e circondato da tante persone: una cultura molto mediterranea della relazione, del vedere, della comunione quotidiana, informava di sé il funerale, e, in effetti, fino alla discesa nella terra scavata di fresco è stato possibile vedere il volto di Emilianos, riferirsi a lui, “dialogare” con lui. Al cimitero, tra le palme, gli alberi di agrumi, gli ulivi, al canto del tropario della resurrezione con il grido vittorioso “Christos anesti!”, prima della consegna alla terra, vengono chiamati i parenti per l’ultimo bacio, e subito dopo, per ultima, la nostra comunità. Un piccolo vangelo gli viene posto tra le mani, e la mitra episcopale viene sostituita dal copricapo monastico del grande abito: questo Emilianos aveva sempre voluto semplicemente essere, un monaco fino alla fine e basta. Poi su una zolla di terra fresca i vescovi versano olio e vino abbondante e questa viene deposta sopra il corpo del metropolita Emilianos, sui paramenti, all’altezza delle gambe: ormai egli è uno con tutta la creazione e la creazione con lui, in solidarietà e nella grande comunione, promessa di salvezza cosmica per tutti, anticipo dei cieli nuovi e della terra nuova. Non c’è disperazione o angoscia, ma la sensazione che Emilianos sia vivente, e presente a tutti e a tutto.
Terminata la liturgia, la convivialità semplice di un caffè, un tè, un biscotto presi tutti insieme, permette ai presenti di salutarsi, di ricordare, di riannodare legami, di aprirne di nuovi, di integrare l’evento vissuto nel tessuto dell’umano, della vita, dell’amicizia, dell’oggi e del domani.
Poi, anche durante il pranzo si avvicinano le persone più semplici per dire l’amore per Bose trasmesso da mons. Emilianos, amore divenuto patrimonio comune, anche talora senza conoscerci direttamente. Mentre quanti sono stati ai convegni ecumenici di settembre in compagnia del metropolita Amvrosios mostrano un affetto che tocca profondamente per la sua verità e il suo calore.
Ha detto il medico curante: “Ho capito quanto vi amava quando in dicembre mi disse con risolutezza, contrariamente al mio fermo parere, che aveva deciso di partire alla volta di Bose per salutare la comunità”. Sarebbe infine ritornato in Grecia il 30 gennaio. Appena prima dell’ingresso nel coma, durato solo qualche ora, sussurrava all’infermiera Elèni: “Sai, a Bose sono persone molto buone e bravi cristiani…”.
All’inizio del pranzo il metropolita Amvrosios ricorda ancora la nostra comunità, e brevi parole salutano tutti i presenti: si affretta l’ora del rientro a Bose…
Mons. Emilianos lascia in consegna l’amicizia tra la comunità ortodossa di Eghion e la comunità di Bose come realtà concreta e come parabola, come piccolo, possibile ponte tra oriente e occidente fatto di rapporti non generici, ma personali, che siano attenti alle piccole cose, rispettosi delle peculiarità e dei doni di ciascuno. Lui, che ricordava spesso le parole del grande patriarca Athenagoras: “Forse abbiamo dimenticato una cosa: l’umanità di Cristo”, ci lascia in eredità, in fondo, il segreto della vita: l’amicizia, come ragione e gioia di vivere nell’oggi, e come semente, come profezia e caparra della realtà che verrà, di un domani già poveramente presente nelle nostre storie così modeste e umane.
È un grande dono e una grande responsabilità per la nostra comunità.
Sulla via del ritorno ad Atene con direzione l’aeroporto, in compagnia del vescovo Athenagoras e di p. Vassilios di Eghion, amici fedeli, sulla strada lungo il mare - con all’orizzonte Corinto, Megara, Salamina – è viva la sensazione di una presenza ( quella di Emilianos) che permane, che non abbandona: “Mio Dio, mi hai chiamato, come potrò andarmene?”(O. Elytis).
E la luce del vespro avvolge pian piano le cose, luce della memoria e dell’amore.
Grazie per questo ineffabile dono. Grazie metropolita Emilianos! Preghi per noi, e sostenga tutti con la sua intercessione!