Fiducia e accoglienza
12 giugno 2025
Dal Vangelo secondo Marco - Mc 11,22-25 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù 22rispose: «Abbiate fede in Dio! 23In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: «Lèvati e gèttati nel mare», senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. 24Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. 25Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe».
Queste parole del vangelo di oggi mi sembra che ci facciano soprattutto un annuncio: la preghiera del cristiano è anzitutto l’apertura a una duplice relazione: con Dio e con il prossimo. E la relazione con Dio si declina anzitutto come relazione di fede/fiducia, affidamento, mentre quella con il prossimo come accoglienza che si spinge fino a una comunione incondizionata, nella quale il fratello, la sorella viene accolta a qualsiasi condizione, anche qualora ci avesse fatto del male, e dunque fino al perdono.
Ma queste parole sono anche la promessa di una beatitudine, di una gioia, perché, sebbene aprirsi a tale duplice relazione implichi un costo e una fatica, la ricompensa è grande, poiché c’è gioia nello scoprire che nei cieli abbiamo un Padre che si prende cura di noi con amore e fedeltà (cf. Mt 6,25-34), e perché c’è gioia nell’avere un cuore che si dilata fino all’amore per il nemico (cf. Mt 5,43-48).
Per questo Gesù può dire che il suo giogo è soave e il suo carico leggero (cf. Mt 11,30); per questo può dire che prendere su di noi il suo giogo (e con tale espressione nel giudaismo del tempo si indicava l’obbedienza ai comandamenti della Scrittura) e imparare dalla sua umiltà e mitezza ci conduce al “riposo” (cf. Mt 11,28-29). Grande affaticamento, infatti, trova il cuore che odia, che disprezza, che conserva rancore, che invidia, che giudica e che teme.
Fiducia in un Dio che si prende cura di noi umani, di tutti e di ciascuno, con premura, con la tenerezza di chi solleva un bimbo alla sua guancia per dargli da mangiare (cf. Os 11,4), con l’attenzione di chi lo tiene per mano e gli insegna a camminare (cf. Os 11,3) sulle strade di questa vita. Fiducia come quella di un bambino che, ormai svezzato, e dunque educato a non cercare più nella madre solo la fonte del proprio cibo, sa aprirsi alla relazione con lei come con qualcuno che lo ama e sul cui petto può riposare con tranquillità e fiducia (cf. Sal 131,2), e che dunque può non affannarsi per la propria vita (cf. Mt 6,25) e non stare in ansia (cf. Lc 12,29).
Questa la promessa che apre alla pace del cuore e che diventa anche fondamento della speranza di quel regno in cui questa comunione, con Dio e con il prossimo, di cui già qui sulla terra ci è dato di gustare la primizia, sarà pienamente compiuta.
A tale speranza, infatti, si è chiamati a camminare in pace con il prossimo, come affermava Gregorio Magno: “All’unica speranza della vocazione (cf. Ef 4,4) non si giunge affatto se non si corre ad essa con l’animo unito al prossimo”. Per questo, se il male va sempre riprovato, coloro che lo hanno commesso restano pur sempre fratelli e sorelle che sono per noi un dono prezioso e nei confronti dei quali nessuno deve sentirsi migliore. In questo, allora, per Gregorio Magno, consiste l’“odio perfetto” di cui parla il salmo 139,21-22: “Odiare i nemici di Dio con odio perfetto è sia amare coloro che hanno fatto [il male], sia rimproverare ciò che essi fanno”. Odiare il male e amare la persona.
Questa radicalità nella relazione di fiducia con Dio e di accoglienza del prossimo è ciò in cui sempre si può esercitare la nostra autentica obbedienza all’evangelo, e questa è anche la fonte della nostra pace.
sorella Cecilia