“Se mi chiederete qualcosa nel mio nome…”

  La regle du jeu, 2010, olio su tela, cm 110x220
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14 giugno 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 14,12-14 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù disse: «12In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. 13E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.


A conclusione di una settimana di stimolanti brani evangelici sul pregare, il testo odierno ci rassicura sull’efficacia della preghiera stessa, non proponendoci la rivelazione di strumenti particolari e metodologie iniziatiche, ma ricordandoci il fondamento pasquale della nostra fede: Gesù morto e risorto, assente e vicinissimo, ora agente ed intercessore presso il Padre, è il luogo del superamento dei nostri limiti, del vivere l’impossibile della resurrezione nella nostra storia personale e in quella del mondo.

Dobbiamo però assumere responsabilmente alcuni aspetti di ciò che il Signore ci fa conoscere:
“Nel suo Nome”: a causa sua e del Vangelo che parla di lui, non con altre motivazioni, secondo il nostro sentire e progettare, spesso travestito da bontà. Tutto è possibile, purché siano le stesse opere di Gesù, quello che lui farebbe e chiederebbe nella stessa situazione che sto vivendo io.
“Nel suo Nome” diventa allora criterio di discernimento sul mio vivere e desiderare: devo chiedermi se posso collocare il Nome di Gesù, Dio salva, su quegli aspetti della mia vita, di quella di altri e del mondo, per i quali spero e desidero qualcosa al di là dei limiti, delle incapacità, dei rifiuti.

Pregare significa sempre attendere e sperare un compimento ma, come ci ricorda bene Bonhoeffer: “Dio non si è mai impegnato ad esaudire i nostri desideri, ma a portare a compimento le sue promesse”.

Nel pregare c’è bisogno, dunque, di discernimento, non tanto razionale quanto piuttosto frutto semplice e quasi scontato della conoscenza del Signore, l’Onnipotente nell’amore, l’Unico veramente buono, come egli si è fatto conoscere in Gesù, e che supera tutti i nostri limiti perché ciò che a noi è impossibile a Lui è possibile (cfr. Lc 18,27), ma lo fa proprio accogliendo i nostri limiti, non solo chiedendo e proponendo, ma consolando, insegnando, ricordando, accettando, perdonando: tutte azioni dello Spirito santo che è la grande risposta del Padre alla preghiera dei figli (cfr. Lc 11,13).
Così accolti, veniamo anche trasformati, per arrivare allo straordinario della piena umanità, al cuore di carne secondo la promessa di Ezechiele 36,26; pregare mi insegna ed instaura in me uno stile di vita!

Fare ciò che fa Gesù è il frutto della fede, del fidarsi: un fare condizionato dall’avere fiducia e una fede che si esplicita in un fare, senza dimenticare che l’esaudimento della preghiera e la sua efficacia non è che Dio faccia la nostra volontà, ma che noi impariamo e siamo resi capaci di fare la sua volontà.
Nel pregare ci troviamo di fronte alla semplicità del chiedere e alla difficile impresa di far davvero riferimento ad un altro, passando attraverso di lui per la realizzazione di necessità, speranze e desideri: ciò che chiederete “io lo farò”… se me lo chiederete!
Il “fare” di Gesù, manifestazione concreta, esplicitazione, della Gloria di Dio, del suo peso e presenza nel mondo, in cui a noi è dato di collocare il nostro, diventa testimonianza.

Mi viene alla memoria, come affermazione riassuntiva, il testo di un bel inno allo Spirito Santo: “…ogni promessa in noi si fa preghiera, vengano presto cieli e terra nuovi!”


fratel Daniele