Conclusions of the conference
2.5 L’ascesi, con le sue dimensioni multiple, è apparsa come un imperativo essenziale nella custodia della creazione da parte dell’uomo. Ascesi personale e ascesi collettiva. Noi sappiamo molto bene, anche se la pratichiamo male, ciò che implica l’ascesi personale, ma ignoriamo pressoché tutto delle regole di un’ascesi comunitaria. Le risposte classiche dell’ascesi personale e comunitaria a scala ridotta sono la moderazione, contentarsi del necessario, non invidiare il necessario di cui l’altro ha bisogno, la condivisione …
Ma la scala della crisi è cambiata. Non è più locale o regionale, ma mondiale e globale. Noi sappiamo ormai che i modelli di sviluppo economico che noi subiamo (e favoriamo) sono insostenibili. La terra è devastata, le ricchezze sono concentrate, la povertà di tanti uomini e donne sfigura la loro dignità umana.
I teologi dovranno senza dubbio praticare l’ascesi dell’ascolto dei semplici e degli uomini di scienza.
Anzitutto dei semplici. Vorrei raccontarvi la storia che più di trent’anni fa mi ha raccontato un amico, eminente linguista, impegnato a studiare le lingue degli indiani dell’Amazzonia.
Un giorno si doveva recare da una tribù a un’altra, attraversando la foresta. La guida indigena, vedendolo affaticato per la lunga marcia, gli chiese se avesse sete. Alla sua risposta affermativa, si arrampicò su un albero di cocco e ne ridiscese con una noce. La aprì e gli diede da bere. dopo che ebbe bevuto, gli chiese ancora: “Hai ancora sete?”. Rispose: “Sì”. Allora l’indiano salì una seconda volta e gli diede un’altra noce. “Hai ancora sete?”, gli chiese . “No”, rispose il linguista, e domandò a sua volta: “Perché sei salito due volte sull’albero, invece di scuoterlo e farne scendere le noci?”. L’indiano rispose: “Perché chi passerà ancora di qui abbia qualcosa da bere”. La grande sapienza dei semplici è accontentarsi del necessario.
Vi propongo un altro esempio, tratto dai padri del deserto. Neanche i santi dimenticano la vita quotidiana degli uomini. Lo testimonia questo apoftegma attribuito a san Macario l’Egiziano, cui anche il professor Dimitrios Moschos ha fatto allusione nella sua relazione:
Una volta Macario l’Egiziano venne da Scete sul monte di Nitria per partecipare all’eucaristia celebrata da abba Pambo. Gli dissero gli anziani: “Padre, di’ una parola ai fratelli”. Ed egli disse: “Finora io non sono diventato monaco, ma ho visto dei monaci. Una volta me ne stavo nella mia cella a Scete e i pensieri cominciarono a importunarmi dicendo: ‘Va’ nel deserto e osserva ciò che vedrai là!’. Combattei il pensiero per cinque anni, dicendo: ‘Forse viene dai demoni’, ma poiché il pensiero persisteva, andai nel deserto e là trovai un lago con un’isola nel mezzo e le bestie del deserto venivano là a bere. E in mezzo ad esse vidi due uomini nudi. Il mio corpo cominciò a tremare perché pensavo che fossero spiriti. Quelli, vedendomi impaurito, mi dissero: ‘Non ti spaventare, siamo uomini anche noi!’. Dissi loro: ‘Di dove siete? Come siete venuti in questo deserto?’. Dissero: ‘Veniamo da un cenobio e fummo d’accordo sul venire qui quarant’anni fa. Siamo l’uno egizio e l’altro libico’. Anch’essi fecero domande: ‘Come va il mondo? Scende la pioggia a tempo dovuto? Il mondo gode della solita abbondanza?’. Risposi loro: ‘Sì’, e domandai a mia volta: ‘Come posso diventare monaco?’. Mi dissero: ‘Se uno non rinuncia a tutte le cose del mondo, non può diventare monaco’. Dissi loro: ‘Io sono debole e non posso vivere come voi’. E quelli: ‘Se non puoi vivere come noi, rimani nella tua cella e piangi i tuoi peccati’. Chiesi loro: ‘Quando giunge l’inverno, non avete freddo? E quando viene l’estate, non brucia il vostro corpo?’. Risposero: ‘Dio ha disposto questo per noi: d’inverno non abbiamo freddo, d’estate il caldo non ci fa del male’. Per questo – concluse abba Macario – vi ho detto che non sono ancora divenuto monaco, ma che ho visto dei monaci. Perdonatemi, fratelli” (Macario l’Egiziano 2).
In ascolto degli uomini di scienza. La teologia non risponde a tutto, può offrirci una visione giusta dell’uomo, di Dio, della creazione. Ma noi abbiamo bisogno di uomini e donne che lavorino giorno dopo giorno per trovare risposte alternative e responsabili alla crisi ecologica. Abbiamo l’umiltà di ascoltarli. È indubbiamente uno dei modi dell’ascesi del xxi secolo.
2.6 Avremmo dovuto senza dubbio prestare più attenzione all’opera dello Spirito santo. Nell’intertempo tra la resurrezione del Messia e la sua seconda venuta, lo Spirito compie (teleioûn) l’opera della salvezza che il Padre ha affidato al suo Figlio. Non è un caso che il grande salmo della creazione (Sal 103 lxx) domandi l’invio dello Spirito sulla creazione e sul lavoro degli uomini, affinché li rinnovi. Può l’uomo essere custode della creazione senza l’assistenza dello Spirito di Cristo?
2.7 Riprendiamo infine un auspicio già espresso dal metropolita Ioannis di Pergamo, all’inizio del convegno. Il servizio della preservazione e del risanamento dell’ambiente deve diventare ima diaconia comune delle chiese. Questa diaconia è un’opportunità che può associare le chiese avvicinandole all’umanità sofferente e alla natura sfigurata dal nostro peccato.
Oggi celebriamo la festa della natività della Madre di Dio, la santa Vergine Maria. È la prima grande festa dell’anno liturgico bizantino. Si potrebbe considerare questa festa come il germe, umile e nascosto, che Dio depose nel suo popolo eletto. Prepara una terra vergine, in cui plasmare il nuovo Adamo, che sarà anche il suo proprio Figlio. Lo Spirito santo è all’opera per edificare a nuova arca dell’alleanza e il tempio che sarà il corpo del Messia resuscitato. Le grandi meraviglie della nostra salvezza, scriveva già Ignazio d’Antichia, si operano nel silenzio, questa assicurazione è la nostra speranza. Anche la creazione “nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,20-21).
Sperare la salvezza di Dio, sperare nell’uomo, non è forse questa la testimonianza che i cristiani sono chiamati a dare insieme al mondo?
Conclusions read in French by MICHEL VAN PARYS
on behalf of the Scientific committee