Un nome da abitare


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Foto di Vlad Sargu su Unsplash
Foto di Vlad Sargu su Unsplash

2 marzo 2024

Mt 7,21-29

In quel tempo Gesù disse:" 21Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?». 23Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!». 24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». 28Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.


Gesù ha appena messo in guardia i suoi interlocutori dai falsi profeti e invita a riconoscere un albero dai propri frutti. Continuando il suo discorso mette in chiaro che non basta chiamarlo Signore per entrare nel Regno. Non basta un nome, ma bisogna fare la volontà del Padre. L’invito è a seguire le sue orme, quelle che sta percorrendo verso Gerusalemme, quei passi che lo condurranno fino al Getsemani a dire rivolto al Padre “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26,39). Gesù richiama i suoi discepoli a seguirlo nel fare la volontà del Padre, nel seguire le sue orme, nel far corpo con la propria scelta di vita.

Gesù continuando a parlare racconta un colloquio in cui un gruppo di “molti” lo interroga su questo argomento. Come è possibile? Non ci sono persone che hanno profetato nel suo nome? Non sono successe guarigioni nel suo nome? Sono avvenute cose che fino ad allora erano impossibili “nel nome di Gesù”. I discepoli possono testimoniarlo. A questi molti Gesù risponde che “non li conosce”. Allora nel nome di chi hanno compiuto tutti questi prodigi?

Non basta proferire un nome. Il nome di Gesù è capace di compiere prodigi, in quel nome vi è una grande energia, ma il rischio è quello di trasformarlo in una parola magica. Gesù sta richiamando i suoi interlocutori a non trasformarlo in una semplice formula da pronunciare. 

Pensiamo che basti dare un nome a qualcosa per possederlo, ma sta qui il passaggio di vita che Gesù vuole farci compiere: si può possedere Gesù, solo perché lo si nomina? Il rischio è di trasformare il suo nome in una scatola vuota, ma la sua è una vita, ed è nella vita che ogni discepolo è chiamato a renderlo presente.

Gesù li riconosce come operatori di iniquità (v. 23). Proprio coloro che pensavano di conoscere il Signore, da lui non saranno riconosciuti. Proprio chi pensava di essergli più intimo per il semplice fatto di poterlo nominare, scopre che per essere riconosciuto da Gesù bisogna percorrere un'altra strada. Matteo utilizza due termini che suonano similari: onoma (nome) e anomia (iniquità). Chi usa un nome vuoto porta iniquità. Quello di Gesù non è un nome che si deve possedere, ma che si deve abitare. Bisogna fare dimora nel suo nome e da questo far nascere le nostre opere.

Ed è proprio con l’immagine della casa che Gesù porta avanti il suo discorso. L’uomo saggio è quello che costruisce la dimora della propria intimità su basi solide, sulla roccia, quella roccia che è il Cristo (cf. 1Cor 10,4). Sylvain Tesson nel suo libro Nelle foreste siberiane racconta la sua esperienza di sei mesi in una capanna siberiana, sulla sponda del lago Bajkal. Racconta che la capanna scricchiolava come una scatola di fiammiferi agitata durante le fortissime tempeste di neve. E nonostante questo tribolare la capanna è rimasta lì a rendere possibile la sua vita in quelle terre difficili da abitare. Anche se dopo la tempesta la nostra capanna è da riparare, resta però la certezza che non cadrà. Anche se bisognosa di qualche ritocco non ci abbandonerà.

Tutto sta nel terreno sul quale abbiamo posto le nostre fondamenta. Dove abbiamo deciso di dimorare. Chi non pone fondamenta solide alla sua vita interiore si ritroverà senza casa, sarà costretto a vagare. La casa che resiste alla tempesta è quel luogo di rifugio nei giorni difficili. Per avere quella resistenza deve affondare le sue fondazioni nella vita di Gesù. 

L’immagine di costruire sulla roccia richiama anche la fatica dello scavo, l'impegno di scendere in profondità. Non basta la superficie, non basta la leggerezza di un nome pronunciato, ci vuole lo sforzo di una vita riconosciuta e la volontà di seguirla. Questa la sfida per essere profeti.

Questa forza profetica viene riconosciuta dagli ascoltatori di Gesù, ne rimangono stupiti. C’è qualcosa nelle sue parole che lo rende diverso dagli scribi. Lui è in cammino verso la croce e la resurrezione, le sue parole sono cariche della consapevolezza che sta assumendo nel compiere la volontà del Padre che lo ha inviato.

fratel Elia


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