Lettera agli amici - Pentecoste 2018

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Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,
come Lettera agli amici, proponiamo, in comunione con le Chiese sofferenti di Siria e del Medio Oriente, alcune parole tratte dall’allocuzione dell’allora metropolita Ignazio di Laodicea alla Quarta assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, svoltasi a Uppsala nel 1968, esattamente cinquant’anni fa. Divenuto nel 1979 Ignazio IV Patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, e passato da questo mondo al Padre nel 2012, grande e indimenticabile amico della nostra comunità, autentico pneumatoforo, la sua visione più che mai attuale illumina il mistero della Pentecoste ed è per tutti noi un invito alla fiducia e alla speranza, nella forza dello Spirito santo.

Negli ultimi tempi, che sono i nostri, la potenza arcana della resurrezione è l’evento della novità. Dovremmo rileggere tutti i testi di Paolo relativi a quest’energia della resurrezione che ormai si diffonde nel mondo tramite l’evangelo. Ciò significa per noi che, in ogni evento, il Verbo incarnato, mondo nuovo, viene nel nostro mondo di morte. Egli entra nella morte. Gesù è realmente morto; ma questa invasione del Dio vivente fa andare in pezzi le molteplici catene che tengono l’uomo in schiavitù: il demonio, il peccato, la morte, la legge, «la carne» nel senso paolino del termine. La croce è stata l’ora della novità; l’éschaton, il secolo futuro, è entrato nel nostro tempo, e ha fatto esplodere tutte le nostre tombe. Quella morte è la nostra resurrezione. «Ecco, con la croce, la gioia ha pervaso il mondo intero!», canta l’ufficio pasquale bizantino. Per noi oggi, la cosa più urgente è forse riscoprire «quale sia, per noi che crediamo, la smisurata grandezza della sua potenza, secondo l’efficacia della sua forza, che egli ha manifestato in Cristo, risuscitandolo dai morti» (Ef 1,19-20).

La resurrezione è l’inaugurazione della parusia nel nostro tempo, ed è per questo che noi possiamo attenderne con certezza e impazienza il compimento annunciato da Colui che siede sul trono (cf. Ap 21,5). È di là che noi «attendiamo ardentemente come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro corpo di miseria per conformarlo al suo corpo di gloria, con la forza che egli ha di sottomettere a sé tutto l’universo» (Fil 3,20-21).

Ma come può divenire nostro, oggi, l’evento pasquale, che ha avuto luogo una volta per tutte? Grazie a colui che fin dall’origine e nella pienezza dei tempi ne è l’artefice: lo Spirito santo. Egli è la novità che opera nel mondo, è la presenza di Dio con noi e si «unisce al nostro spirito» (Rm 8,16); senza di lui Dio è lontano, Cristo resta nel passato, l’evangelo è lettera morta, la chiesa una semplice organizzazione, l’autorità dominio, la missione propaganda, il culto una mera evocazione e la condotta cristiana una morale da schiavi. Ma in lui e in una sinergia indissociabile, il cosmo viene sollevato e geme nel travaglio del regno, l’uomo è in lotta contro «la carne», Cristo risorto è presente, l’evangelo è potenza di vita, la chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità è un servizio liberante, la missione è una pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano viene deificato.

Lo Spirito santo ricolloca ogni cosa nel dialogo, e nell’effusione di sé ci mette in comunione e ci attrae verso il secondo avvento. «Egli è Signore e dà la vita». È per mezzo di lui che la chiesa e il mondo invocano con tutto il loro essere: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20) ...

La missione della chiesa nella gestazione del mondo moderno non consiste nell’approntare qualche nuova tecnica: la novità della parusia non introduce nel mondo delle strutture originali. La missione di certe chiese può e deve consistere nell’aiuto scambievole, nell’agápe «con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18). Ma la missione di tutte le chiese, per ricche o povere che siano secondo il mondo, è quella di essere la coscienza viva e profetica del dramma di questo tempo. «La creazione geme e soffre nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Lo sappiamo veramente, come suppone Paolo? Lo viviamo per davvero? Come lo traduciamo nella nostra esperienza del lavoro, del denaro, della materia, del cosmo?


Bose, 20 maggio 2018 Pentecoste

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