La giustizia che supera

Foto di Rod Long su Unsplash
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22 febbraio 2024

Mt 5,20-26

In quel tempo vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 20Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.

23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!


Abbiamo iniziato da alcuni giorni il cammino quaresimale, cammino di ritorno al Signore nostro Dio, cammino che vuole essere di più convinta sequela del Signore, e il vangelo oggi ci presenta una parola esigente di Gesù contenuta nel cosiddetto “discorso della montagna”, il primo dei cinque lunghi discorsi che formano l’ossatura portante del Vangelo secondo Matteo.

In questi versetti Gesù ci chiede una giustizia che supera, o più letteralmente che sia più abbondante, di quella di scribi e farisei. Ma che significa questo? Se continuiamo nella lettura ci accorgiamo che Gesù radicalizza il precetto nel senso che lo rinvia alla sua radice, all’intenzione che stava in Dio quando diede la Legge a Israele.

Gesù chiede ai suoi discepoli, e a noi con loro, di andare oltre la lettera per cogliere il desiderio di bene e di vita che sta nel cuore di Dio, per cogliere lo Spirito che forgiò la lettera dettata da Dio a Mosè.

Così essere capaci di una giustizia più abbondante di quella di scribi e farisei significa non accontentarsi di osservare alla lettera il comandamento, sentendosi così a posto, in una autoreferenzialità da mercanti, in cui non c’è posto al bene del fratello o della sorella ma tutto il nostro agire, anche in bene, ha noi stessi come termine ultimo e decisivo. No, Gesù ci invita invece a fare il bene, a compiere atti di giustizia, partendo dall’altro, rispettando in profondità l’altro, senza fargli violenza alcuna.

Noi sappiamo bene come la violenza ha nel nostro cuore il suo covo, come dirà anche Gesù poco più avanti nel vangelo: “Dal cuore provengono i propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie” (Mt 15,19) e sappiamo altrettanto bene che la violenza prima di essere violenza fisica è violenza verbale, è giudizio e calunnia dell’altro.

È l’incapacità di contenere, di educare, la nostra ira che ci porta ad avere uno sguardo cattivo e alterato sull’altro, uno sguardo che deforma l’altro riducendolo in nemico da sopprimere piuttosto che sorella, fratello da custodire.

Certo l’altro può anche porsi nei nostri confronti come nemico, come avversario, ma sta a noi di non smarrire la nostra capacità di riconoscerlo sempre e comunque come un fratello, una sorella, verso cui cercare di avere azioni e parole di riconciliazione, di pace, sapendo che spesso il debito che contraiamo gli uni con gli altri è tale che solo il Signore lo ha riscattato per amore nostro al caro prezzo della croce.

Fare strada con Gesù, stare alla sua sequela, significa convertire la nostra ira in pace, la nostra violenza in mitezza, il nostro egoismo che vuole salvare solo noi stessi in altruismo che vede e cerca soprattutto l’altro. Solo così la nostra offerta sarà gradita al Signore, perché specchio sincero del nostro desiderio di bene e vita per tutti, e sarà altrettanto sincera invocazione del suo Spirito perché, va detto, questa parola di Gesù, così esigente, rasenta l’impossibile, quell’impossibile che solo Dio, con l’azione del suo Spirito, può operare in noi.

Sorella Ilaria


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