Perdere e ritrovarsi

Foto di Volodymyr Hryshchenko su Unsplash
Foto di Volodymyr Hryshchenko su Unsplash

5 marzo 2024

Mc 8,34-38

In quel tempo Gesù 34convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 36Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? 37Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 38Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».


Il passo che oggi leggiamo è un punto centrale nella vicenda di Gesù e dei suoi discepoli. Pietro lo ha appena confessato come il Cristo, e subito, per la prima volta, Gesù annuncia la sua passione suscitando la reazione di Pietro stesso.

Siamo davanti alla radicalità chiesta a chi vuole essere discepolo del Signore Gesù, chiamato a seguire l’agnello ovunque vada. Essere discepoli non è questione di privilegi o diritti da difendere a ogni costo, ma “semplicemente” si tratta di camminare lungo la via della vita dietro al Signore.

È difficile accogliere il tema del rinnegamento di sé in una società sempre più votata all’affermazione dell’io, dei diritti inviolabili dell’individuo, sempre più svincolati da un contesto relazionale e comunitario. Il Signore Gesù è netto su questa esigenza radicale per il discepolo: “smettere di conoscere sé stessi” (secondo la traduzione di E. Bianchi). È uno sguardo altro non più rivolto a sé stessi, ma al Signore che cammina davanti a noi.

Perdere la vita per guadagnarla è il paradosso evangelico di chi sceglie di essere discepolo di colui che pur essendo di natura divina non considerò possesso geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò sé stesso diventando simile agli uomini (cf. Fil 2,7). Questo abbassamento, il cui culmine è la croce gloriosa, è la misura senza misura dell’amore del Padre che il Figlio amato porta a compimento.

Smettere di conoscere sé stessi è perdere la vita per riceverla da Dio come bottino (cf. Ger 45,5). Dietrich Bonhoeffer commentando questo passo di Geremia scrive: “Se dalla distruzione della nostra vita noi riusciremo a recuperare intatta la nostra anima vivente potremo esserne soddisfatti …Il compito della nostra generazione non sarà quello di mirare a grandi cose, ma di salvare la nostra anima dal caos, di preservarla…”. Quello che Bonhoeffer lucidamente vedeva come dovere imprescindibile del cristiano in un mondo lacerato dalla barbarie, lo è ancora oggi che la stessa barbarie, in maniera più subdola, lacera e avvelena la società, le relazioni umane, il senso comunitario.

Il cristiano, non più preoccupato di difendere a ogni costo la sua appartenenza religiosa, sa che seguire Gesù è prendere su di sé la croce, le persecuzioni, il disprezzo del mondo, ma è pronto a questo, consapevole che l’unica cosa non sacrificabile è l’amore, la cura, la misericordia per ogni fratello, sorella, per il creato che ci sono affidati.

Possiamo ritrovare noi stessi solo nel dono totale della vita per amore, dietro a colui che avendo amato i suoi li amò sino alla fine. Solo donandola possiamo riscoprire il senso profondo della vita che spesso ci affanniamo a cercare nell’illusione del potere, dell’autoaffermazione, della soddisfazione di desideri effimeri.

Il cammino di fede dietro al Signore è un atto di realismo, accettare la nostra croce, le nostre fragilità significa riconoscere che sarà il Signore a portarle per noi, egli si è caricato delle nostre sofferenze. Scriveva sorella Maria di Campello: “Tutti siamo guariti da Gesù che ci ha liberato da un’infermità, ma dal peso di noi stessi non possiamo pretendere di essere liberati, è il nostro destino, il nostro travaglio, la nostra purificazione. Portando il nostro peso piccolo o non piccolo, possiamo avere speranza di aiutare i nostri cari a portare il loro”.

fratel Nimal


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