Sulla strada verso Gerico

Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

27 maggio 2024
Lc 10,29-37 (Lezionario di Bose)

In quel tempo un dottore della legge 29volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così»


Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…”. Siamo sulla strada che va verso Gerusalemme, la stessa che Gesù percorre insieme ai suoi discepoli, camminando verso la sua passione. Qui però l’uomo la percorre in senso inverso: dalla città santa scende verso la depressione della valle del Giordano, uno dei punti più bassi di tutto il globo terrestre (siamo a circa 400 m. sotto il livello del mare!). L’uomo di cui non conosciamo l’identità, ma verosimilmente è un giudeo, incappa nei briganti, che erano frequenti al tempo su questa strada, viene derubato e lasciato sulla strada “mezzo morto”. Queste le premesse della storia. 

 “Per coincidenza” (katà synkyrían), dice letteralmente il greco al v. 31 – ma esiste una vera coincidenza per il credente? –, “passava di là un sacerdote”. Notiamo di nuovo che anche questo sacerdote sta scendendo e non salendo a Gerusalemme. Probabilmente ha partecipato al culto del tempio e ora ritorna a casa propria, soddisfatto e trafelato. Sappiamo del resto che a Gerico risiedevano molti sacerdoti e leviti. 

Sia al sacerdote che al levita che lo segue dopo poco è attribuito lo stesso comportamento. Queste persone vedono e passano oltre dalla parte opposta. Senza fermarsi. Senza degnare il malcapitato di uno sguardo più attento e pietosamente umano. “Passare oltre dalla parte opposta” - questa mi sembra la traduzione corretta del verbo greco antiparérchomai - è espressione carica e ricercata che dice una volontà deliberata di evitare l’incontro e di prevenire le eventuali reazioni emotive che potrebbero sorgere alla vista ravvicinata. Uno spettacolo troppo forte, meglio scansarlo a passo deciso. E così il sacerdote e il levita “fanno il giro largo” per evitare l’incontro con il fratello scomodo, esattamente come facevano i pellegrini giudei salendo dalla Giudea verso Gerusalemme, che evitavano la via della Samaria e passavano per la valle del Giordano. Quanti “giri larghi” anche noi, forse, nella nostra vita…

Quest’azione del sacerdote e del levita ostenta decisione e risolutezza, ma in realtà denota solo paura, disprezzo, chiusura. È forse per desiderio di custodire la “purità legale” (che vietava ai ministri del culto il contatto con il sangue e soprattutto con i morti) che i due non si fermano e tirano dritto? Certo non si può escludere, e i commentari in genere sono sicuri e unanimi su questo punto. Ma in realtà, a ben vedere, non sembra questo l’elemento fondamentale. I due chierici infatti scendono e non salgono a Gerusalemme. Dunque non stanno andando al tempio, ma ritornano a casa. Quindi non è tanto in nome della Legge che questi due uomini non si fermano. Piuttosto potremmo dire che è in nome della Legge che essi avrebbero dovuto fermarsi. Il personaggio che essi hanno incontrato, anche secondo i criteri più restrittivi del tempo, è loro “prossimo” a tutti gli effetti (cf. Lv 19,18; Lc 10,27) e il dovere di soccorrerlo avrebbe dovuto passare avanti a tutto. 

Ciò che piuttosto è fondamentale cogliere, e che Gesù sembra voler sottolineare, è che essi sono i rappresentanti accreditati del culto d’Israele e i migliori conoscitori della Legge, eppure proprio loro non si fermano! Ma che liturgia è, chiediamoci, che conoscenza della Legge è mai quella che rende insensibili gli occhi e il cuore perfino davanti a un uomo moribondo? 

Uomini che “dicono e non fanno” (Mt 23,3), come altrove Gesù dice dei farisei. Il loro culto è diventato un ritualismo, il loro studio della legge una sterile teoria che, invece di aprire chiude il cuore all’accoglienza dell’amore di Dio e del prossimo. Li rende ciechi e in fondo trasgressori della Legge, senza che probabilmente neanche se ne accorgano.

Il Samaritano, che giunge come terzo, è il rappresentante, come sappiamo, di una categoria malfamata a quel tempo. Un “eretico”, secondo la mentalità comune. Eppure, ecco il colpo di scena, proprio lui comprende, anzi accoglie, il Dio d’Israele più degli specialisti del culto e della Legge. Con la sua compassione egli giunge al cuore dell’agire di Dio e della Torah: “Misericordia io voglio e non sacrifici, la conoscenza di Dio più degli olocausti (Os 6,6)”. È uno di quei piccoli a cui il Padre ha rivelato i misteri del Regno rimasti nascosti ai sapienti e agli intelligenti (cf. Lc 10,21). 

Gli esperti della Legge, da parte loro, hanno talmente corazzato il cuore con le distinzioni casuistiche su chi sia o non sia il loro prossimo che quando “per coincidenza” – o forse per un’occasione propizia loro offerta da Dio – si trovano di fronte a una situazione concreta che non attendevano, sono incapaci perfino di cogliervi un appello al discernimento, all’ascolto della propria coscienza. Una come anestetizzata e giustificata dalla falsa certezza di servire la “giusta causa”. E tutto il resto passa in seconda linea. 

C’è qui, ripeto, la denuncia senza mezzi termini di una liturgia ipocrita svincolata dalla vita: denuncia che rimane valida ancora oggi, per noi. Se, quando usciamo da un’eucarestia, il cuore non è trasformato, non è più pronto ad accogliere, i nostri occhi non sono più stupiti, più sensibili, più compassionevoli, è il caso di chiedersi: a che pro avervi partecipato? Vi abbiamo realmente partecipato o forse eravamo altrove?

Scrive il padre della chiesa Giovanni Crisostomo: “Cristo ha dato a tutti in modo uguale, dicendo: Prendete, mangiate (Mt 26,26). Egli ha dato in modo uguale il proprio corpo, e tu non sei disposto a dare in modo uguale neppure il pane comune? Egli infatti è spezzato allo stesso modo per tutti, e per tutti è diventato corpo in modo uguale” (Omelie su 1Corinzi 27,4). Quando prendiamo parte all’eucarestia, celebriamo la misericordia divina per noi, dilatiamo il cuore alla sua misura. La nostra vita cristiana dovrebbe essere essenzialmente conseguenza e di ciò che vi abbiamo sperimentato: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

fratel Luigi


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