Ben poca cosa nelle nostre mani

immagine satellitare - Foto di USGS su Unsplash
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8 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 6,1-15

In quel tempo 1 Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
5Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. 7Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9«C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». 10Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». 15Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.


“Che cosa è questo per tanta gente?”. Ben poca cosa nelle nostre mani.

Passano i giorni, stiamo rileggendo il Vangelo secondo Giovanni alla luce della Pasqua, ma in noi forse sono ancora la disillusione e il disfattismo dei discepoli di Emmaus a parlare: “speravamo” (cf. Lc 24,21) che la Pasqua cambiasse le cose, donando pane a sazietà, libertà e vita per tutti; e invece non sembra incidere più di tanto sulla realtà e, di fronte a drammi epocali e bisogni personali, ci troviamo a misurare preoccupati ciò che abbiamo tra le mani

Ben poca cosa, se rimane nelle nostre mani, che sanno solo contare secondo la nostra algebra e la nostra economia, impietosamente rigide. È vero, l’evangelista Giovanni registra numeri che ci fanno misurare un deficit incolmabile: quand’anche si avessero duecento denari, cifra notevole (si stima pari al salario di un anno di lavoro), sarebbero comunque insufficienti per sfamare cinquemila uomini, senza contare donne e bambini. Nondimeno, non è questione di numeri: si potrebbe trattare della fame di vita di una sola persona, che vorremmo aiutare a risorgere, di fronte alla quale però misuriamo la nostra impotenza.

Indipendentemente dai numeri e dalle circostanze, sarà esperienza pasquale se saremo disposti per grazia a condividere ciò che siamo e abbiamo. “Disposti a”, che non è immediatamente “capaci di”: disposti a fidarci e a lasciare che sia uno Sconosciuto (cf. Lc 24,16) a mostrarci come spezzare il pane con altri (cf. Lc 24,30). Mancheremo l’incontro con il Risorto se non rischieremo questa condivisione.

Perché questo è, alla luce della Pasqua, il segno raccontato nel vangelo di oggi. È un segno che rimanda all’identità del Cristo risorto, quel Gesù che volevano fare re e che invece si ritira sul monte da solo, perché sa da chi riceve la sua identità.

Da chi? Fondamentalmente dal Padre, non dalla folla: perciò rimane uno sconosciuto, anche per quanti lo seguivano, nell’ora della croce; e infatti, risorto dopo la morte, restituito a sé stesso dal Padre, si manifesterà inizialmente a loro come sconosciuto. Cioè conosciuto in verità solo dal Padre e da quanti lo Spirito fa risorgere: questi possono risorgere anche da calcoli e valutazioni che li prostrano – ben poca cosa cinque pani e due pesci – se nello Spirito riconoscono il Risorto quale pane di vita che il Padre dona con abbondanza.

Ad essere dettagliata nel racconto è proprio la constatazione del pane abbondante e persino degli avanzi, non il miracolo in sé, che non viene descritto. Non ne ricaveremo una ricetta perché c’è da accettare di non avere il pieno controllo del processo che ci procura il pane, ovvero ciò che è vitale.

In effetti non abbiamo in mano ricette universali per garantirlo. Possiamo solo fidarci, nel qui e ora, accogliendo la domanda che ci provoca: “Da dove lo prenderemo?”. Gesù lo domandava a Filippo “per metterlo alla prova”, tentarlo. L’inatteso impiego del verbo delle tentazioni per descrivere l’intenzione di Gesù ci dice che il “da dove” per noi comporta una tentazione: tentazione di disperare del poco che abbiamo e siamo, di non credere che quel poco, consegnato alle mani del Signore, possa bastare per la nostra e altrui fame di vita.

fratel Fabio