La compassione che vede, tocca, guarisce e invia

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

8 luglio 2025

Mt 9,27-38

27In quel tempo mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 28Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». 29Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». 30E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». 31Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione. 32Usciti costoro, gli presentarono un muto indemoniato. 33E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». 34Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». 35Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. 36Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».


Il brano di oggi ci rivela uno degli attributi più profondi dell’identità di Gesù: la compassione, nelle sue diverse sfumature. Non assistiamo solo a miracoli, ma accediamo al cuore stesso del vangelo: un Dio che si commuove fino alle viscere e agisce per restituire all’uomo la sua pienezza.

Qui la compassione si manifesta come forza viva: non resta sentimento ma si fa gesto, parola, prossimità. Si incarna nella storia e trasforma chi incontra. È un’emozione profonda che coinvolge tutto l’essere. È il grembo dell’azione di Dio, via di rinascita dell’umano. Una commozione viscerale, come suggerisce il verbo greco splagchnízomai.

Il racconto inizia con il grido di due ciechi: “Figlio di David, abbi pietà di noi!” (v. 27). La loro cecità fisica esprime anche quella spirituale dell’umanità, incapace di riconoscere il senso, il bene, il volto dell’altro. Eppure, proprio loro vedono con il cuore ciò che molti occhi aperti non colgono. È un atto di fede profonda, un grido che nasce da chi ha perso l’orientamento ma non la speranza. È l’invocazione messianica che riconosce in Gesù il “Figlio di David” (cf. 2Sam 7,12–16).

Gesù non risponde subito. Li fa entrare in casa, luogo di intimità e discernimento, e domanda: “Credete che io possa fare questo?” (v. 28). La fede non è magia, ma relazione. Gesù coinvolge la loro interiorità. Poi li tocca compassionevole: “Avvenga per voi secondo la vostra fede” (v. 29). Dio non guarisce da lontano: “Ho visto la miseria del mio popolo … e sono sceso per liberarlo” (Es 3,7).

Segue un altro incontro: un uomo muto e posseduto da un demonio (cf. vv. 32-33). Il male lo ha ridotto al silenzio: immagine di ciò che oggi spesso paralizza l’uomo: paure, ferite, oppressioni. Gesù lo libera, e l’uomo parla. Come in Geremia 1,9: “Metto le mie parole sulla tua bocca”. La compassione non consola soltanto, ma restituisce voce e dignità.

Non tutti però vedono. I farisei, pur testimoni dell’opera di Dio, accusano Gesù di agire per mezzo del male (cf. v. 34). È il paradosso religioso: conoscere le Scritture ma ignorare il cuore di Dio. Quando la religione perde compassione, si chiude nel giudizio.

Al versetto 36, raggiungiamo il cuore del brano: “Vedendo le folle, ne ebbe compassione”. Mentre i farisei giudicano, Gesù guarda e si lascia ferire. Il suo sguardo è partecipe: vede un popolo smarrito, “come pecore senza pastore” (Ez 34,5). Vedere diventa sentire, sentire diventa agire. “Rivestitevi di sentimenti di compassione” (Col 3,12): è la via del cristiano.

Da quello sguardo nasce una chiamata: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate…” (vv. 37-38). La compassione diventa vocazione. Come Isaia che risponde: “Eccomi, manda me!” (Is 6,8), anche il credente si lascia coinvolgere e si offre, si fa disponibile.

Il testo si apre con una supplica e si chiude con una preghiera. Dal buio alla parola, dalla fede personale alla missione condivisa, tutto converge in un unico movimento: quello della compassione. In un mondo segnato da fratture e indifferenza, la compassione è la forma più concreta dell’amore: tocco che guarisce, parola che libera, sguardo che guida, preghiera che invia. È lì che il Regno di Dio prende forma concreta. Dove la compassione fiorisce, l’umano rinasce.

sorella Monica