Silenzio in sé per ascoltare ciascuno

Fratelli, sorelle,

la nostra Regola, parlando delle riunioni del consiglio, afferma:

Nel consiglio occorre cercare di fare silenzio in se stessi, per ascoltare gli altri, ciascuno degli altri” (RBo 28).

È una verità che vale sempre, non solo nei consigli o nei capitoli, una cosa che ha una profonda valenza spirituale ed è essenziale per la qualità buona delle relazioni nella quotidiana vita comune. Non si tratta solo di ascoltare, ma di ascoltare ciascuno degli altri. E per noi questo ciascuno ha i volti e i nomi precisi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno stretto alleanza con noi. L’ascolto non è un movimento generico o standard, ma si deve adattare a ciascuno, si deve personalizzare: l’altro non è solo il destinatario del mio parlare o del mio comportamento, ma vi dà una forma, altrimenti restiamo nella violenza, nell’“io sono così” e niente e nessuno mi può cambiare. Solo con un ascolto che assume l’altro nella sua unicità sarà anche praticabile quell’amore concreto e visibile per il fratello e la sorella che la nostra Regola raccomanda.

Questo significa che ascoltare implica anzitutto l’osservare. Si ascolta anche con lo sguardo, osservando le posture del corpo, i lineamenti del viso, il trapelare delle emozioni sul volto e nel corpo. Infatti, se le parole nascondono nel momento stesso in cui rivelano, il corpo non mente mai. E il corpo ci dice molto dell’animo dell’altro, delle sue chiusure come della sua disponibilità, della sua sofferenza come della sua gioia.

Ascoltare ciascuno significa poi anche cercare di percepire come l’altro sente, che cosa lo ferisce, come l’altro ascolta, come l’altro comprende, e questo per poter intuire e presagire le conseguenze sull’altro delle nostre parole e delle nostre azioni. Altrimenti restiamo nella violenza. Si tratta di sviluppare una sensibilità per l’altro, un’empatia, che è il contrario dell’antipatia, sentimento che pure insorge tra persone che vivono insieme senza essersi scelte. Questo ascolto empatico è un’ascesi, un lavoro che occorre decidere e volere. Non va da sé.

Inoltre, ascoltare ciascuno degli altri suppone anche lasciarsi interrogare dall’altro. Occorrerebbe cogliere l’altro come domanda. Questo è vigilare sull’altro, esserne custode, e vigilanza è un altro nome della responsabilità, della responsabilità di custodia dell’altro che siamo chiamati ad avere come fratelli e sorelle. Spesso invece noi ci muoviamo sui binari sicuri e inamovibili delle sicurezze già date, delle risposte preconfezionate, per cui diamo per scontato l’altro, lo etichettiamo, non gli badiamo più, e così, giorno dopo giorno, quell’altro che ha un volto e un nome, diventa ai nostri occhi una realtà spersonalizzata, o una macchietta o un nemico o uno di cui ridere o di cui sparlare o chissà cos’altro ancora. Ma questo è un restare nella violenza. Nei nostri rapporti quotidiani noi siamo sempre esposti al rischio della superficialità e della banalità, dell’incrociarci senza lasciarci interrogare dagli altri, da ciò che dicono, da ciò che esprimono, dai loro silenzi come dai loro gesti. Eppure crescere in capacità di amore significa sottomettersi a questa fatica per cui l’altro è una novità che ogni giorno va interrogata e ascoltata. Solo credendo e cogliendo la novità di ciascuno possiamo tentare di ascoltare ciascuno, altrimenti tutto cade sotto il peso dell’abitudine e della routine.

Infine, un principio importante per l’ascolto di ciascuno e che fa eco e dà sostanza a quel “fare silenzio in se stessi” per ascoltare l’altro, di cui parla la Regola, è quell’ascolto di sé ben espresso da un testo del Siracide: “A partire da te comprendi i desideri del tuo prossimo” (Sir 31,15). Nel testo latino della Vulgata il passo recita: Intellige quae sunt proximi tui ex teipso. L’ascolto è intelligenza, è leggere dentro. L’intelligenza del prossimo esige intelligenza di sé. Occorre leggersi dentro per comprendere l’altro. E per questo occorre cercare di fuggire le distrazioni interiori, di relativizzare le sofferenze che rischiano di soffocarci, far tacere il rumore interiore che ostruisce il nostro spazio interiore, è importante per giungere a quel rispetto dell’altro, a quella responsabilità per l’altro, e anche a quella cura per l’altro che sono gli esiti di un vero ascolto dell’altro, di ciascuno: rispetto, responsabilità, cura.

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e attenti ad ascoltare l’unicità di ciascuno dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano