Ascoltare per avere lo sguardo di Dio

Fratelli, sorelle,

più volte nella nostra Regola si parla dell’ascolto: ascoltare la parola di Dio, ma anche ascoltare l’altro. Sappiamo bene tutti quanti che qui siamo di fronte a uno dei capisaldi della vita spirituale di un monaco: il monaco dovrebbe diventare un esperto nell’arte dell’ascolto. Il credente, infatti, è anzitutto colui che ascolta. Credere e amare, che sono fondamento e fine della vita cristiana, sono semplicemente impossibili senza l’ascoltare. Senza l’ascolto non c’è fede e non c’è amore, ma solo contraffazioni e pervertimenti della fede e dell’amore. Per questo la grande ascesi monastica è l’ascolto: di sé, degli altri, del Signore. Ascesi, ovvero esercizio, sforzo di volontà, perché occorre voler ascoltare, deciderlo, sceglierlo, perché l’ascolto non è un mero sentire, non va da sé, non è un atto meccanico, e ogni persona è un mondo e chiede attitudini diversificate di ascolto.

Ma quali sono i movimenti dell’ascolto? Che cosa comporta ascoltare? Nel paragrafo 30 della Regola si dice che “discernimento significa comprensione del fratello, ascolto di lui e da questo deriva il lavoro di comunione in comunità”. E nel paragrafo 37 si afferma che uno spirito di preghiera robusto aiuterà ciascuno “ad ascoltare l’altro, a cercare di capirlo, a osservarlo con lo sguardo di Dio”. Si parla di comprendere e di capire e le due cose non sono sinonime. La comprensione a cui conduce l’ascolto è l’accogliere dentro di sé, il prendere con sé e in sé. Si tratta di divenire dimora, di ospitare l’altro in sé, come Maria che ospitò in sé il Signore stando ai suoi piedi e ascoltando la sua parola, mentre Marta l’aveva ospitato nella sua casa.

Ma accogliere in noi un altro trova anche una quantità di resistenze interiori: spesso preferiamo la distanza con l’altro antipatico, con l’altro con cui siamo in disaccordo, ci rifiutiamo perfino di salutarlo e di guardarlo in faccia. E così ci sottraiamo al lavoro di comunione in comunità. Per ascoltare occorre poi fare un piccolo ma importante lavoro su di noi di sgombro, di pulizia interiore: se siamo troppo presi da sofferenze interiori, da pensieri ingombranti e assillanti, da ossessioni, da antipatie per l’uno o per l’altro, non riusciremo ad ascoltare. Non avremo spazio per l’altro. Occorre pertanto prendere una distanza da sé e dai propri pensieri per fare spazio all’accoglienza dell’altro. Al tempo stesso l’ascolto ospitale si accompagna alla discrezione e al pudore: accogliere quanto l’altro ci consegna in confidenza implica il custodirlo con cura, proibendosi di divulgarlo.

Ascoltare è poi anche cercare di capire, dice ancora la Regola, e per capire occorre rompere con i pregiudizi, con le pre-comprensioni con cui spesso ci impediamo l’incontro con l’altro. E capire esige tempo e pazienza. Ed esige anche un discernere, ovvero, ascoltare non equivale a dare retta, ad accordare il proprio assenso all’altro, ma implica il tener conto sì, ma anche il vagliare e il tralasciare. Ma forse l’operazione più importante è quella che la nostra Regola enuncia così: “Osservare l’altro con lo sguardo di Dio”. E lì noi vediamo la profonda unità tra ascolto della parola di Dio e ascolto dell’altro. Come la lectio divina esige tempo e pazienza, volontà e perseveranza, silenzio e attenzione, ci chiede di divenire dimora della parola del Signore, di farla inabitare in noi, di discernerla attraverso le pagine della Scrittura, così anche l’ascolto dell’altro. Ed entrambi questi atti di conoscenza e comprensione del Signore e dell’altro ci spingono verso quella unificazione che è tensione peculiare del monaco, perché l’ascolto, l’unico movimento umano-spirituale dell’ascolto, è alla radice dell’obbedienza al doppio comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede rinnovando ogni giorno l’ascolto ospitale della parola del Signore e del volto dell’altro. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano